Case cinesi: come cambiano le strategie di crescita globale

La Cina risponde al rallentamento della domanda di auto nuove nei Paesi dell’occidente puntando sui mercati del Sud del mondo: Medio Oriente, America Latina, Africa e Asia 

La crescita esponenziale delle auto esportate l’anno scorso dalla Cina, 4,7 milioni di un’unità, il triplo rispetto al 2021 con Byd che sta già superando Tesla nella vendite globali di elettriche e plug-in, viene letta dagli analisti di settore come un sfida ulteriore all’industria automobilistica tradizionale tanto che si prevede che i brand cinesi supereranno presto Toyota e Volkswagen. Visto però che le vendite in Nord America latitano e in Europa la concorrenza si fa sempre più serrata, i marchi cinesi dell’auto si stanno rivolgendo a nuovi mercati, quelli del sud est asiatico o i mediorientali o i latinoamericani e quelli africani. Ma se è vero che le nazioni di queste regioni non dispongono di un potere d’acquisto pari a quello di alcuni paesi occidentali, si tratta pur sempre di mercati in rapida crescita quasi sempre per una limitata industria automobilistica nazionale. 

I primi risultati di questa strategia, fino a ieri inedita, sono che i cinesi partendo da zero detengono già oggi l’8% del mercato dell’auto in Medio Oriente e in Africa e il 6% in Sud America. La nuova offensiva dei cinesi verso questi nuovi mercati si spiega con il rallentamento in particolare del mercato interno. I circa 23 milioni venduti in Cina l’anno scorso si sono ridotti, le case automobilistiche nazionali hanno ora un grave problema di sovraccapacità. Si stima che le fabbriche di auto cinesi potrebbero assemblare a regime fino a 45 milioni di unità all’anno, ma al momento la produzione è limitata al 60%. 

A tutto ciò si somma l’intenzione più volte manifestata dai brand dell’auto cinese di realizzare stabilimenti in loco con evidenti vantaggi in termini di redditività. Si prevede che in futuro 2.5 milioni di auto cinesi saranno prodotte in fabbriche all’estero per evitare tariffe e costi di spedizione. Byd, ad esempio, sta già producendo vetture in Thailandia e in Uzbekistan a cui si aggiungeranno altrettanti siti produttivi in Brasile, Indonesia, Ungheria, Turchia e forse in Messico. E non saranno i soli colossi dell’auto a farlo visto che altri brand cinesi come Chery, Great Wall, Saic e Changan hanno già annunciato programmi simili. Non è chiaro se lo stato cinese che sta già fornendo incentivi per mantenere la produzione in Cina, li offrirà anche per spostare in futuro la produzione all’estero. Di sicuro l’opzione dell’incremento dell’export dalla Cina non è stata accolla serenamente dai concorrenti giapponesi e sudcoreani, così come dagli americani e dagli europei, visto che di fatto rappresenta un'ulteriore pressione aggiuntiva.

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